Una guida di Walter Peris per diventare 'acquariofili coscienti e consapevoli' del fatto che il nostro hobby coinvolge l'esistenza stessa di esseri viventi e ci obbliga, in un modo o nell'altro, ad essere responsabili e attenti a quelle che sono le necessitĂ  primarie dei nostri ospiti, siano essi pesci, piante o invertebrati.

Branco di Parambassis ranga colorati artificialmente (detti Chanda color) tramite dolorose iniezioni sottocutanee di colorante

Queste righe non vogliono rappresentare la demonizzazione del nostro hobby, e di tutti coloro che ne sono coinvolti, o diffondere il terrore nell’ambiente, ma vogliono essere una guida a come diventare “acquariofili coscienti e consapevoli” del fatto che il nostro hobby coinvolge l’esistenza stessa di esseri viventi e ci obbliga, in un modo o nell’altro, ad essere responsabili e attenti a quelle che sono le necessità primarie dei nostri ospiti, siano essi pesci, piante o invertebrati.

Purtroppo, ancora oggi, alcune cose non rispettano l’evoluzione delle più semplici regole sociali, e il desiderio di avidità e, per alcuni popoli, di sopravvivenza, spingono gente senza molti scrupoli ad approfittare della situazione per il puro interesse personale.

Al di là di ogni condanna morale o pseudo tale, che non è nei nostri scopi, vogliamo solo puntare il dito su alcune pratiche che potrebbero essere cambiate con un minimo sforzo da parte di tutti noi dell’ambiente, industrie, commercianti e hobbisti.

La prima “cosa”: il Chanda color

La prima di queste “Mille cose da non fare” di cui vi vogliamo parlare, riguarda la pratica di colorare artificialmente alcuni pesci; lo scopo di questa procedura è palese: rendere più “appetibili” questi animali, di per sé piuttosto scialbi (e intendo “scialbi” agli occhi dell’acquirente medio, non certo a quelli dell’acquariofilo attento), per il pubblico di massa.

Questi poveri animali, i Chanda ranga, vengono letteralmente colorati iniettando sotto la loro cute dei coloranti artificiali.

Questo procedimento ha due grossi inconvenienti. Il primo, riguarda il fatto che per questa operazione vengono, spesso, addestrati dei bambini, sfruttando il lavoro minorile; questo è un problema che riguarda solo le nostre coscienze, dato che in quei paesi (in genere, si tratta dell’estremo oriente) questa pratica è normalmente diffusa. L’iniezione di queste sostanze colorate causa spesso, data la difficile manipolazione di animali così piccoli e sfuggenti, l’auto iniezione di tali coloranti nelle mani dei bambini. A parte il fatto puramente umano e emozionale di immaginare il dolore provato da un bimbo che si inietta sotto cute del colorante, resta il dato di fatto che, spesso, questi coloranti sono anche dei potenziali agenti cancerogeni. Cosa capiterà a questi bambini tra qualche anno? Sono coscienti dei rischi che corrono? E come trascurare la possibilità che possano restare vittima di qualche patologia, che eventuali pesci malati possono trasmettere proprio attraverso le siringhe usate?

Il secondo punto, forse meno “umano” ma che ci coinvolge più da vicino in quanto acquariofili, è la fine a cui andranno incontro questi poveri pesci. Molti di essi non sopravvivono al trattamento (considerate anche che, in genere, per l’operazione di colorazione di più pesci si utilizza sempre la stessa siringa; la possibilità di trasmettere patologie da un animale all’altro sono altissime); altri, muoiono dopo poche ore in seguito alla maldestra operazione, effettuata in fretta e furia dal bimbo. Altri ancora, poi, sopravvivono giusto per il tempo di essere messi in sacchetti e spediti sui nostri mercati. I più fortunati di tutti, una piccola percentuale, riescono ad arrivare nei nostri negozi e qui inizia il loro calvario finale.

Lo stress subito fino a questo punto (iniezione, degenza, spedizione e messa in vasca nel negozio) li porta ad ammalarsi nella quasi totalità dei casi. Se mai ci capitasse di esaminare da vicino questi pesci, spesso li vedremo fermi, con le pinne chiuse e coperti da una marea di puntini bianchi, segno inequivocabile di stress e di malattia, spesso mortale per pesci così debilitati.

Quando anche dovessero sopravvivere a questa ulteriore prova, il loro destino è quello di finire in vasche non adatte alle loro caratteristiche e, dopo circa uno o due mesi, perdere definitivamente il colore assorbito, con conseguente delusione da parte dell’ignaro acquirente, convinto con l’inganno (e non sempre inganno è sinonimo di falsa dichiarazione; spesso, l’inganno è celato dietro un silenzio omertoso e compiacente da parte del negoziante, che vende il pesce senza avvertire l’acquirente che il colore, così attraente, scomparirà in breve tempo) ad acquistare un pesce “fuori dal comune” e che, magari, ben si abbina al colore del tappeto o dei divani.

Come si può vedere e capire, quello dei Chanda color è un mercato alimentato soprattutto dall’avidità; ma è un’avidità “dei poveri”. Quanto pensate che possa rendere un simile mercato? Miliardi? Forse agli esportatori, non certo ai negozianti. Se un negoziante pensasse di sopravvivere (e badate che ho scritto “sopravvivere”, non vivere bene) con la vendita di questi pesci, allora ci troveremmo davanti a un sognatore, oltre che a una persona di dubbia morale. Volere arricchire giocando sull’inganno e sulla pelle di poveri animali è una cosa che dovrebbe farci pensare.

Il mio, ovviamente, non è un invito a boicottare o a criminalizzare nessuno; non è così che si crea una “coscienza acquariofila”. Acquariofili, magari, non si nasce, ma si diventa. E se si diventa, perché non diventare anche “acquariofili coscienti e consapevoli”?

E’ così difficile?

Io non lo credo. E una buona informazione è il primo punto da considerare per diventare “acquariofili consapevoli”. Il nostro hobby è meraviglioso, ma non ci si deve MAI dimenticare che ha a che fare con esseri viventi, con le loro esigenze e con i loro bisogni.
La prossima volta che vi capiterà di vedere in una vasca uno di questi pesci, pensate a cosa c’è dietro e chiedetevi se sia veramente il caso di continuare ad alimentare un simile mercato per il solo gusto di avere in casa un “oggetto di arredamento vivente che si intona bene con la moquette”.
Il mio scopo non è quello di mettere alla berlina chi si alimenta da questo mercato, ma di mettere in evidenza chi si rifiuta di sostenerlo e alimentarlo.

Un negoziante che non vende Chanda color è SICURAMENTE un negoziante serio e sensibile. Non è detto, ovviamente, che chi li venda non possa esserlo, ma dovendo scegliere, pensate a quello che avete fin qui letto e visto e decidete secondo coscienza. Non nascondiamoci dietro un dito; un’acquariofilia seria e responsabile parte, in primo luogo, da noi acquariofili, perché il mercato offre quello che NOI chiediamo.

© Walter Peris


Per chi vuole esporlo nel proprio sito, linkando magari questa pagina di spiegazione, qui c'è il logo, basta salvarlo nel proprio sito web ed utilizzarlo.

 

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